Torre di Satriano

Basilicata. Torre di Satriano (PZ).

 
Direzione del progetto
 
Direzione survey
 
Direzione scavo settore medievale
 
Coordinamento attività sullo scavo
Barbara Serio
 
Responsabile laboratorio reperti archeologici
Gianclaudio Ferreri
 
Documentazione grafica e topografica
Daniele Mallardi, Giuseppe Loiudice
 
Analisi delle coperture, Database terrecotte architettoniche, ricostruzioni 3D
Donato Bruscella, Vincenzo Capozzoli, Alberto Comini
 
Elaborazioni GIS
Emiliano Tondi
 
Ricostruzione viabilità antica e sfruttamento del territorio
 
Analisi paleobotaniche
Donatella Novellis (Lab. di Archebotanica – Univ. del Salento - LE)
 
Analisi polliniche
Annamaria Mercuri, Assunta Florenzano
 
Analisi archeometriche
Tonia Giammatteo (in collaborazione con Lab. CNR-IMAA, Tito Scalo - PZ)
 
Analisi cromatografiche
Giuliana Bianco
 
Indagini geomorfologiche
Salvatore Ivo Giano, Francesco Sdao, Cinzia Zotta (DiSGG, UNIBAS)
 
Indagini geomagnetiche
Mimmo Chianese, Enzo Rizzo, Gregory De Martino (CNR-IMAA, soc. Tomogea)
 
Analisi archeozoologiche
Chiara Corbino
 
Analisi di Antropologia fisica
Tracy Prowse, Robert Stark, Metthew Emery

 

Nel territorio dei Comuni di Tito e di Satriano di Lucania il paesaggio è segnato dall'altura di Torre di Satriano che si eleva tra i due paesi moderni e si staglia a dominare un esteso territorio, posto nel cuore dell’Appennino lucano. Una torre normanna è l’elemento maggiormente percepibile della Satrianum medievale, impiantatosi nell’XI sec. sulle terrazze strette e lunghe che si dislocano tra sommità e scoscesi pendii del rilievo, per essere abbandonata tra XV e XVI sec. Il centro medievale si sovrappone, dopo secoli di abbandono, ad un insediamento antico che ha restituito tracce di frequentazione già nel secondo millennio a.C., ma che si struttura come comunità stabile e organizzata solo a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C. e proseguirà la sua vita fino alla fine del III/inizio del II sec. a.C.

Il territorio dal 2000 è oggetto di un progetto di archeologia globale che vede la collaborazione di studiosi di diverse discipline. Grazie al survey effettuato nei 20 kmq che circondano l’altura, è stato possibile ricostruire il quadro insediativo nella diacronia e programmare una serie di scavi estensivi. Tra I e II età del Ferro, l’insediamento policentrico si organizza in nuclei distribuiti in maniera capillare sulle terrazze attorno al rilievo, dove le tombe si dislocano nei pressi delle abitazioni.

Al VII sec. risale una residenza absidata, posta a sud-est dell’altura: si tratta di un edificio di eccezionale rilevanza, tanto per dimensioni (22 x 12,5 m) che per l’arredo interno, in vita fino al secondo quarto del VI sec.a.C., appartenuto ad un personaggio di rango al vertice della comunità locale. La scoperta più straordinaria è stata realizzata nel 2008 sul versante settentrionale, quando è stato portato alla luce un edificio monumentale, sede del potere comunitario a partire dal 560-550 a.C. Si tratta di un edificio eccezionale per dimensioni (30,70 x 22,3 ), apparato decorativo e arredo interno, in vita fino al 480 a.C. Il tetto presentava una ricchissima decorazione fittile composta da una sima sotto la quale correva un fregio figurato con opliti a duello e scudieri a cavallo; sul tetto erano statue acroteriali. Nelle strette vicinanze è stata portata alla luce l’area funeraria e un’area produttiva.

In epoca lucana si ha un profondo cambiamento nelle modalità insediative: mentre si struttura sull’altura un centro fortificato, si assiste la nascita, nelle zone più distanti dall’altura, di numerosi siti – fattorie monofamiliari -. che, per la maggior parte, sembrano esaurirsi tra seconda metà del III sec. a.C. e inizi del II sec. a.C. Alla metà del IV sec. a.C. risale il santuario messo in luce alle pendici meridionali dell’altura, caratterizzato da una sacello a pianta quadrata posto all’interno di un recinto quadrato, all’interno del quale sono stati rinvenuti numerosi ex voto e oggetti rituali. Nel luogo sacro, come in tutto l’insediamento, la frequentazione si interrompe all’inizio del II sec. a.C. Una nuova frequentazione si verifica tra secondo quarto del I sec. a.C. e I sec. d.C.: il regime delle offerte è ora pienamente integrato nel mondo romano.

In età romana il territorio, confluito verosimilmente nel municipium di Potentia, è occupato da poche fattorie e alcune ville che strutturano il paesaggio rurale fino al IV-V sec. d.C. Bisognerà attendere l’alto medioevo perché sull’altura si ritorni a costruire: nascerà così Satrianum, un polo destinato per qualche secolo a riorganizzare il territorio in una diocesi. Oltre alla cattedrale, il cui primo impianto risale all’XI secolo, è stato portato alla luce l’episcopio, di cui si conservano alcuni corpi di fabbrica destinati ad ospitare la comunità ecclesiastica tra XII e XV secolo.

Scarica il Pdf (Satriano_descrizione_progetto) contenente una descrizione dettagliata del progetto.

FastiOnlineTS2000

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Bibliografia

Capozzoli, V., Osanna, M. 2009. Da Taranto alla mesogaia nord-lucana: le terrecotte architettoniche dell’anaktoron di Torre di Satriano, «Ostraka» 18,1, 141-174.

Nava, M.L. 2000. L’attività archeologica in Basilicata nel 1999, Atti Taranto XXXIX, 675-726.

Nava, M.L. 2002. L`attivitá archeologica in Basilicata nel 2001, Atti Taranto XLI, 717-765.

Nava, M.L. 2005. L`attivitá archeologica in Basilicata nel 2004, Atti Taranto XLIV, con rapporto di scavo di M. Denti, 332-336.

Nava, M.L., Osanna, M. (a cura di) 2001. Rituali per una dea lucana. Il santuario di Torre di Satriano, Afragola.

Osanna, M. 2003. L’insediamento indigeno di Torre di Satriano: le nuove ricerche dell’Università degli studi della Basilicata, «Siris» 3, 233-268.

Osanna, M., Arvanitis, N., Capozzoli, V., Ferreri, G., Serio, B. 2011. Sedi del potere di un insediamento italico nell’Appennino lucano: Torre di Satriano in età arcaica, «BdA» 11, 1-26.

Osanna, M., Capozzoli, V. (a cura di) 2012. Lo spazio del potere, II. Nuove ricerche nell'area dell'anaktoron di Torre di Satriano (Atti del terzo e quarto convegno di studi su Torre di Satriano, Tito 16-17 ottobre 2009; 29-30 settembre 2010), Venosa (Potenza).

Osanna, M., Colangelo, L., Carollo, G. (a cura di) 2009. Lo spazio del potere. La residenza ad abside, l’anaktoron, l’episcopio di Torre di Satriano (Atti del secondo convegno di studi su Torre di Satriano, Tito 27-28 settembre 2008), Venosa (Potenza).

Osanna, M., Sica, M.M. (a cura di) 2005a. Torre di Satriano I. Il santuario lucano, Venosa.

Osanna, M, Sica, M.M. 2005b. Articolazione dello spazio e pratiche rituali nel santuario lucano di Torre di Satriano, in Osanna, M., Nava, M.L. (a cura di). Lo spazio del rito. Santuari e culti in Italia meridionale tra indigeni e greci (Atti del Convegno, Matera 28-29 giugno 2002), Bari.

Osanna, M., Vullo, M. (a cura di) 2013. I segni del potere. Oggetti di lusso dal Mediterraneo nell’Appennino lucano di età arcaica (Catalogo della Mostra, Potenza), Venosa (Potenza).

Osanna, M., Zuchtriegel, G., Barretta, M. (a cura di). Torre di Satriano II. La residenza ad abside. Abitato e società in età arcaica, Venosa (Potenza).

 

 

 

Pantelleria

Pantelleria

Sicilia. Pantelleria (TP), loc. S. Marco
Direzione
M. Osanna, T. Schäfer

Coordinamento attività di scavo
A. Comini

Alle attività di scavo portate avanti dal 2000 al 2010 sull’Acropoli di San Marco di Pantelleria in collaborazione con l’Università Eberhard Karls di Tuebingen (fig. 1) e la Soprintendenza di Trapani, sono seguite campagne di studio di materiali tuttora in corso.

Le ricerche hanno visto in passato la combinazione di scavi estensivi sulla collina di S. Marco e di ricognizioni di superficie nel territorio circostante: queste ultime hanno dimostrato un’impressionante densità di occupazione, senza alcuna soluzione di continuità, a partire dall’VIII sec. e fino all’età imperiale avanzata Ad un orizzonte cronologico di età ellenistica e proto-imperiale rimandano invece le evidenze indagate sulla sommità dell’Acropoli di San Marco, la quale si segnala anzitutto per il complesso sistema di cisterne private e pubbliche – una di queste aveva restituito nel 2003, tra i materiali del riempimento, le straordinarie teste di Cesare, Antonia e Tito –, e quindi per la pluristratificata sequenza di strutture domestiche e di natura militare, senza dimenticare il complesso sistema viario, che sembra definire sin dalla prima fase di costruzione un impianto urbanistico regolare.

La campagna di quest’anno (fig. 2) ha consentito di ampliare notevolmente l’area di scavo finora indagata grazie all’apertura di due saggi (saggi II e IX) (fig. 3). Le indagini hanno interessato in particolare il versante occidentale della terrazza sommitale dell’Acropoli, ovvero l’area del c.d. bastione (fig. 4) e il settore a sud-est di esso, laddove già in passato era stato possibile verificare l’esistenza di una serie di ambienti pertinenti ad una casa (fig. 5). L’obiettivo principale dell’ultima campagna era quello di definire l’articolazione planimetrica e la cronologia tanto delle strutture abitative emerse quanto dell’impianto difensivo. Per quanto riguarda l’impianto domestico che precede la fortificazione, le indagini hanno permesso di ricostruire un complesso costituito da almeno 11 ambienti, di dimensioni e forma variabili (fig. 6), in modo da adeguarsi al preesistente asse stradale. Tali ambienti (fig. 7) si segnalano per l’accurato intonaco parietale, variamente modanato e conservato in modo assai consistente (fig. 8). Dal momento che le soglie degli ambienti posti sul versante occidentale sono ad una quota assai superiore rispetto a quella dell’asse stradale già indagato, è verosimile che essi si aprissero originariamente su una sorta di ballatoio, al quale si doveva accedere per mezzo di scale, i cui resti sono rintracciabili in almeno due diversi settori (fig. 9).
Un approfondimento operato al di sotto di uno dei piani pavimentali sembra indicare per questo blocco di abitazioni una cronologia compresa entro la seconda metà del II sec. a.C. Non si tratterebbe dunque di una casa “punica”, come finora creduto, ma piuttosto di parte di un grande intervento edilizio relativo alla città romana (fig. 10), da inquadrare probabilmente in un momento immediatamente successivo alla distruzione definitiva di Cartagine del 146 a.C.
Al medesimo complesso devono appartenere due cisterne (fig. 11). Mentre una è stata distrutta dalle bombe del secondo conflitto mondiale, l’altra si conserva in modo pressoché integro (fig. 12). Si tratta di una cisterna “a bottiglia” con vasca di decantazione sul fondo, scavata direttamente all’interno della roccia e in origine doveva essere profonda 4 m ca. (fig. 13). L’indagine stratigrafica ha rivelato la presenza di 17 livelli di riempimento, i quali hanno a loro volta restituito, oltre ad alcuni frammenti di statue e di iscrizioni in marmo, tutta una serie di recipienti (brocche in primis), molti dei quali integri. In alcuni casi (fig. 14) la peculiare disposizione e lo stato di conservazione dei singoli manufatti, come pure la presenza di tracce di depositi organici all’interno dei contenitori, hanno suggerito l’ipotesi che tale materiale non sia stato semplicemente rigettato all’interno del serbatoio, oramai fuori uso, ma piuttosto deposto o comunque sistemato per ragioni che tuttavia ci sfuggono ancora.
In una fase successiva si assiste all’erezione di un nuovo impianto difensivo (fig. 15), la quale comporta inevitabilmente una forte destrutturazione e defunzionalizzazione dell’area, con la distruzione del complesso abitativo e l’interro di alcuni suoi ambienti (fig. 16). Questa nuova possente struttura, genericamente denominata “bastione”, presenta una forma rettangolare, scandita al suo interno da due catene, che definiscono tre concamerazioni (fig. 17). Sembra oramai chiaro che essa va messa in relazione con un altro tratto delle fortificazioni rinvenuto già in passato nella terrazza inferiore, e con il quale deve aver formato un sistema difensivo piuttosto complesso, ricostruibile al momento solo sul versante occidentale e in modo ipotetico (fig. 18). Contrariamente a quanto ipotizzato in passato sulla base delle sole fonti scritte, questa nuova fortificazione della parte alta dell’Acropoli non sembra avere alcun rapporto con le vicende del secondo conflitto punico. Un’analisi preliminare del materiale ceramico rinvenuto all’interno degli strati di costruzione indica piuttosto una cronologia compresa entro il I sec. a.C.. Tale dato suggerisce di mettere questa opera difensiva in relazione con la presa di possesso della Sicilia da parte di Sesto Pompeo nel 42 a.C. Un dominio esteso certamente anche su Kossyra – come ricorda esplicitamente Appiano – e che si sarebbe protratto fino al 36 a.C., anno in cui Agrippa sconfisse definitivamente le truppe ribelli di Sesto Pompeo nella celebre battaglia di Nauloco.
Il poderoso sistema di fortificazione avrà comunque vita breve, dal momento che, già nel corso dell’età augustea, verrà addossata al suo versante orientale una nuova struttura abitativa (fig. 19), la quale di fatto viene a svilupparsi sullo stesso asse di quella tardo-repubblicana (fig. 20).
La fine di questo settore dell’insediamento può essere fissata negli anni centrali del II sec. d.C., - come indicano tra l’altro i materiali relativi ai primi livelli di riempimento della cisterna -, forse a seguito di un evento catastrofico (terremoto?), che potrebbe aver determinato l’abbandono definitivo dell’Acropoli di S. Marco.

Pantelleria. Posizionamento ed ortofoto dell'isola

Pantelleria. Acropoli

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009 - Ambienti con intonaco parietale

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009 - Resti di scale

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009 - Cisterne

Pantelleria. Acropoli 2009 - Cisterne

Pantelleria. Acropoli 2009 - Cisterne

Pantelleria. Acropoli 2009 - Manufatti rinvenuti nelle cisterne

Pantelleria. Acropoli 2009 - Impianto difensivo

Pantelleria. Acropoli 2009 - Impianto difensivo ed interro degli ambienti abitativi

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009

Pantelleria. Acropoli 2009

Montescaglioso

Basilicata, comune di Montescaglioso (MT)

Direzione Survey:

Dimitris Roubis (IBAM-CNR; docente a contratto Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera), Anna Maria Patrone (Direttore Museo Ridola, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata)

Coordinamento survey:

R. Montesano (2010), M. Bileddo (2011)

Laboratorio materiali:

L. Aino, M. De Vito

 

Nell’autunno del 2010 e del 2011 sono state realizzate la quarta e la quinta campagna di ricognizioni intensive di superficie nel territorio di Montescaglioso (fig. 1), all’interno di un progetto di Archeologia del Paesaggio finalizzato alla conoscenza dei paesaggi antichi e post antichi della valle del fiume Bradano. Nel 2012, a parte una breve ma fruttuosa prospezione geomagnetica effettuata nell’insediamento antico di Pagliarone (fig. 2), si sono portate avanti le attività di studio, catalogazione e restauro dei reperti rinvenuti nelle campagne precedenti. Partecipano al Progetto la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata e l’IBAM-CNR nonché allievi della Scuola di Specializzazione e studenti di Laurea triennale e Specialistica dell’Università della Basilicata. Si segnalano inoltre la prosecuzione delle analisi archeometriche, archeobotaniche, archeozoologiche, geochimiche, agronomiche, floristiche e geofisiche, effettuate grazie alla collaborazione con laboratori di varie Università italiane, CNR e Enti regionali.

Nel 2010, sul lato sinistro del fiume Bradano (fig. 3), l’approccio intensivo della ricerca ha consentito di identificare terreni con presenza di manufatti a densità bassa, riferibili a residui di paleo coltivazioni, praticate in prossimità di insediamenti come il villaggio di Difesa S. Biagio dell’età classica (IV -   I sec. a.C.) e quello di Pesco S. Pietro della media e tarda età imperiale. Nella valle del torrente Fiumicello, dalle ricognizioni emerge un quadro insediativo articolato, composto da stanziamenti agricoli e siti adibiti ad attività produttive. Infatti, vicino al corso fluviale, sono state scoperte due grandi fattorie in località Colli e in località mass. D’Alessio, frequentate in età ellenistica.

Nel 2011 le indagini di superficie hanno invece interessato una vasta area del settore settentrionale del territorio di Montescaglioso (fig. 4), fino al confine con Matera. E’ stato così possibile documentare varie Unità Topografiche composte da aree di frammenti fittili appartenenti a impianti rurali legati ad attività agricole e artigianali. La scoperta più interessante risulta essere un grande insediamento ubicato in località Masseria Pardo (fig. 5), un sito che, per dimensione e caratteristiche, potrebbe corrispondere ad un borgo rurale frequentato dal periodo arcaico fino al I sec. a.C.

Tuttavia, la grande novità della ricerca riguarda la scoperta, nella valle del torrente Gravina-Fiumicello, di indicatori informativi di età classica per le produzioni artigianali di tegole, all’interno di un contesto ambientale ricco di acque e di argille fini (fig. 6). Infatti la ricognizione ha registrato concentrazioni di materiale combusto frammisto a nuclei di materiale concotto, chiare tracce della presenza dei resti di una o più fornaci. E’ interessante notare che nel terreno rimosso sono venuti alla luce bolli impressi su tegole. La prova più evidente attestante la presenza delle attività artigianali, è stata fornita dal rinvenimento di un timbro in terracotta recante il nome di un figulo. Il manufatto serviva per creare dei bolli rettangolari, impressi sui coppi, identificativi di un ceramista che con il suo ergastèrion fabbricava, tra IV e III sec. a.C., coppi e tegole.

Sul sito, sono state realizzate inoltre prospezioni geofisiche in collaborazione con il CNR a cui hanno partecipato come esercitazione anche gli allievi della Scuola di Specializzazione (figg. 7-8).

 

 

 

 

 

 

 

 

Monticchio

Direzione
Massimo Osanna

Francesca Sogliani
(Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera)

Coordinamento survey
Dimitris Roubis (IBAM CNR - Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera)

Coordinamento attività sul campo
Lorena Trivigno

Responsabili survey
Delis Fiorani, Annarita Sannazzaro

Responsabile saggi
Tonia Giammatteo

L’anno 2011 ha visto l’avvio di un nuovo Progetto di Ricerca affidato alla Scuola dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Basilicata, dedicato all’importante complesso monastico noto con il nome di S. Ippolito di Monticchio, ubicato sull’istmo tra i due laghi vulcanici nel Monte Vulture. In occasione dei lavori di restauro e valorizzazione dei ruderi della badia, sono iniziate le attività di survey territoriale e di scavo archeologico che oggi presentiamo in anteprima. I risultati delle ricerche, che si prevede di continuare a partire dalla prossima primavera, saranno oggetto di un’esposizione permanente presso la Badia di S. Michele.

L’area dei due laghi di Monticchio, si presenta di assoluto interesse sia per le sue peculiarità ambientali, ben illustrate nel Museo di Storia naturale di recente costituzione presso la Badia, che per il patrimonio archeologico la cui traccia più evidente è costituita dal complesso monastico costituito dalla Grotta e dall’Abbazia intitolati S. Michele e  dall’insediamento monastico ubicato sull’istmo tra i due laghi.

L’area interessata dal survey archeologico, nelle aree circostanti i due laghi comprese tra le frazioni di Monticchio Bagni, Monticchio Sgarroni e Monticchio Laghi, si estende per circa 2 kmq con 10 unità topografiche individuate. I reperti raccolti si inquadrano all’interno di un arco cronologico molto ampio che va dall’età preistorica all’età medioevale. È chiaro dunque che quello di Monticchio può essere considerato un territorio di estremo interesse per le ricerche future.

Il lavoro di ricerca è partito dalla località Varco della Creta, dove nel 1911 Vittorio di Cicco rinvenne una stipe votiva databile tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., conservata nel Museo Archeologico Provinciale di Potenza. La collina domina da S il Vallone dei Laghi, a monte del quale è presente la Sorgente Crocco; qui si segnalano frammenti di tegole a listello di III-II sec. a.C. e frammenti di grandi contenitori (pithoi e/o dolia), ma anche ceramica d’impasto di VIII sec. a.C., ceramica comune da mensa, ceramica a vernice nera inquadrabile tra metà IV e metà I sec. a.C., sigillata italica ed africana e un peso da telaio.

Per comprendere la distribuzione degli insediamenti appartenenti all’Abbazia, è stata indagata anche l’area del “Castello” (UT 3), ubicata all’interno della riserva naturale Grotticelle, nota per la presenza della Acanthobramea del Vulture. Nelle fonti l’abitato Castrum Monticuli è documentato sin dall’XI secolo quale feudo dell’Abbazia di S. Ippolito e sarà abbandonato dopo il terremoto del 1456. Dalla sommità della collina del Castello, a 719 m s.l.m., si domina tutto il territorio circostante e parte della valle dell’Ofanto; inoltre la località è in collegamento visivo con il rilievo del Vulture e con il Varco della Creta.

Lungo il sentiero di accesso ai ruderi del Castello, sono stati rinvenuti numerosi frammenti di laterizi: tegole a listello (III-II sec. a.C.), un frammento di kalypter e tegole di epoca medievale, assieme a frammenti di lucerne, ceramica da cucina, una parete di anfora corrugata e diversi frammenti di ceramica invetriata e smaltata monocroma e policroma. Sul versante meridionale ed occidentale della collina, i materiali rinvenuti indicano una frequentazione preistorica ed alcuni reperti, oltre a confermare la presenza di un insediamento medievale, potrebbero indicare l’esistenza di un insediamento più antico (lucano?).

Altre tracce di frequentazione provengono dall’area a S della Masseria De Carlo(UT 4)che si affaccia sul Vallone Ciraso. Il materiale individuato è relativo a laterizi, tra cui tegole a listello (III-II sec. a.C.), ceramica acroma da mensa, ceramica acroma per la conservazione delle derrate, ceramica da cucina, sigillata italica e africana. A 300 m. circa a SO della Masseria De Carlo è ubicata la Masseria del Campo Santo. Il toponimo potrebbe far riferimento ad un’antica necropoli che da fonti orali è stata ipoteticamente collocata nel campo di grano a NE della UT 4. Infatti il proprietario testimonia la presenza di numerosi frammenti ceramici e resti ossei.

Dalla strada che da Monticchio Bagni conduce a Monticchio Sgarronisi raggiunge anche la località nota con il toponimo di Fornace Vecchia (UT 5). Frammenti di laterizi e di un orlo a tesa di pithos malcotti sono segnalati in prossimità del Vallone Ceraso, in uno sbancamento del terreno. L’area ricognita a N e a S è interessata dalla presenza di un piccolo bosco, mentre a SE da campi adibiti alla coltura del grano.

Un’altra area di frammenti fittili (UT 7) è stata identificatasulla sommità di una piccola collina a 500 m a SE della Masseria Quercioni, in posizione dominante sul Vallone dei Laghi ed il Vallone Ciraso. Si tratta di laterizi, tra i quali tegole a listello, frammenti di ceramica comune da mensa, di ceramica da cucina, un orlo in sigillata italica (metà I se. a.C. – inizi II sec. d.C.) e diversi frammenti di sigillata africana  concentrati nella porzione nord-occidentale dell’area.

Infine, in prossimità della Masseria Frattese, su un campo coltivato a fieno (UT 9), sono stati recuperati alcuni laterizi e mattoni, ceramica d’impasto e tre scarti di lavorazione della selce, mentre da un uliveto immediatamente a S di Monticchio Bagni, in prossimità del Palazzo Lanari, provengono diversi frammenti di tegole a listello  (UT 10) e pochi frammenti di ceramica comune acroma.

Spostando ora l’attenzione nello specifico sull’insediamento monastico di Monticchio, oggetto dell’intervento di restauro e valorizzazione, senza dubbio le sue vicende insediative e patrimoniali, registrate nella documentazione scritta e nelle strutture materiali disegnano una delle realtà storiche e monumentali più complesse non solo della Basilicata ma dell’intero Meridione nel Medioevo. I  confronti sono con i più grandi monasteri dell’Italia centro meridionale, S. Vincenzo al Volturno, S. Sofia di Benevento, Montecassino, con i quali esso condivide modalità insediative,  rapporto con il territorio e l’ambiente circostante, oltre che fasi storiche.

L’insediamento monastico di Monticchio è formato da due siti distinti ma collegati tra loro:  il santuario micaelico rupestre (Abbazia di S. Michele) racchiuso all’interno delle più tarde fabbriche francescane che inglobano la grotta dedicata al culto di S. Michele, con affreschi di XI secolo e il monastero sull’istmo tra i due laghi che officia e controlla il santuario (noto con l’intitolazione a S. Ippolito). Quest’ultimo,  negli anni prima ed immediatamente dopo il sisma del 1980, è stato oggetto di vari interventi di scavo e di studi che hanno tentato di comprenderne le fasi costruttive, indicando una cronologia sviluppatasi dal IX al XVII secolo. La necessità di chiarire in base ai dati stratigrafici la successione cronologica dell’insediamento e la sua articolazione planimetrica completa ha indirizzato il nostro Progetto.

E’ è stata innanzitutto condotta una campagna di prospezioni geodiagnostiche su tutta l’area. L’indicazione delle “tracce” di strutture sepolte è servita da fondamentale guida nelle operazioni di scavo, le quali hanno potuto mettere in luce quanto suggerito dalla elaborazione delle analisi GPR (Ground Penetrating Radar), consentendo una sostanziale economicità di tempi e risorse nelle procedure del cantiere archeologico ed una accelerazione nell’acquisizione dei dati e dei risultati della ricerca.

Sono stati aperti a nove diversi saggi all’interno e all’esterno del complesso architettonico. Di particolare interesse sono i dati relativi al triconco, che è possibile identificare al momento come la struttura più antica dell’insieme.

E’ stato messo in luce il piano di cantiere esterno alle absidi con la relativa fossa di fondazione dei muri e la preparazione del pavimento interno dell’edificio, realizzato con tessere in materiale lapideo e in cotto, come risulta da frammenti rinvenuti in scavo e dalla documentazione fotografica fatta dallo Schettini in occasione dei lavori degli anni ’60.

Inoltre è stato possibile riconoscere che la struttura a terminazione triconca costituisce una unità architettonica a sé stante, definita dalla terminazione a tre absidi e da un nartece che la precede, realizzata ad una quota inferiore di circa 1metro e mezzo rispetto al resto delle strutture che ampliano in seguito il monastero ed in una fase precedente, collocabile con buona probabilità nel X secolo.

Un’ulteriore e necessaria precisazione fornita dal dato archeologico riguarda la piccola chiesa ad aula unica e monoabsidata, orientata NS, in posizione totalmente disassata rispetto al triconco, ma coerente con le altre fabbriche del monastero. Il muro di fondazione dell’abside è stato costruito ad una quota superiore rispetto al triconco,  e contro la facciavista del perimetrale sud del nartece, quindi in una fase successiva. Il lacerto di pavimento in opus sectile di pietra e laterizio conservato ancora in situ è stato diversamente datato al IX-X secolo e all’XI, data quest’ultima più probabile considerando i nostri dati; tuttavia l’ampliamento dello scavo previsto consentirà di scoprire tutta la navata della chiesa, individuata grazie alle indagini geofisiche e quindi di recuperare più precisi dati cronologici.

Un ulteriore saggio di scavo all’interno della navata centrale della grande chiesa orientata EW, costruita a ridosso delle strutture del triconco, ad una quota superiore, ha documentato l’esatta ubicazione  di due basi di lesena, addossate ai muri perimetrali e funzionali o al sistema di copertura della navata stessa o alla presenza di un arco di accesso alla zona absidata.

A Sud di questo grande edifico ecclesiastico è stato messo in luce quasi completamente il chiostro, occupato da un cimitero di cui sono state indagate otto sepolture, tutte in fossa terragna, di forma antropomorfa, orientate EW / NW, in diversi casi destinate a deposizioni plurime con individui in posizione supina, con le braccia piegate sui fianchi o all’altezza del torace e piedi incrociati e prive di corredo. Attualmente, i dati archeologici riferibili a pochi frr. ceramici e ad una moneta di età federiciana consentono di datare la frequentazione del cimitero monastico ad un periodo compreso tra il XIII e il XV sec. d.C.

La novità assoluta dell’indagine è però relativa alla scoperta di un altro settore dell’insediamento monastico fino ad ora sconosciuto. Nell’area a sud delle precedenti fabbriche sono state messe in luce nuove e complesse strutture funzionali relative ad un ampliamento del monastero avvenuto in età normanno-sveva. Di un ulteriore edificio di culto monoabsidato orientato EW, in gran parte esteso sotto l’adiacente proprietà privata, fa parte un abside ampia circa 3 metri, all’interno della quale è presente la base in muratura di pietrame dell’altare. Frammenti di intonaco e laterizi dipinti, alcune monete tra cui un Follis anonimo bizantino, pochi frr. ceramici ed elementi architettonici, testimoniano una frequentazione dell’edificio tra XI e XII secolo, mentre alcuni frammenti di ceramica invetriata policroma e un architrave decorato a rilievo testimoniano un attardamento nella frequentazione della struttura ai secoli XIII-XV.

Nello spazio retrostante e laterale all’edificio si distribuisce un vasto cimitero, la cui fase più recente, coeva con la chiesa appena descritta, restituisce materiali di corredo, soprattutto accessori dell’abbigliamento personale degli inumati, pochi frr. ceramici e vetri e monete che ne datano la frequentazione tra  la  prima metà del XII secolo e la metà del XIII. Diverse sono le tipologie di contenitori funerari: tombe a fossa terragna, tombe con tagli rivestiti da blocchi lapidei o tufo e destinate ad inumazioni plurime, diversamente orientate NS ed EW in posizione supina, con le braccia portate all’addome e le mani incrociate.

Tre setti murari delimitano il cimitero, uno dei quali, orientato EW, presenta una superficie affrescata, parzialmente conservatasi ed interessata da un motivo policromo raffigurante una scacchiera a rombi obliqui in giallo e nero; la presenza di tale elemento decorativo testimonia l’esistenza di una struttura molto più articolata ancora da esplorare.

Infine, dietro l’abside della chiesa, una estesa chiazza di bruciato e numerosi residui della lavorazione del bronzo testimoniano la presenza di un impianto produttivo definito da una struttura in pietre e malta, orientata EW, da una piccola area con un apprestamento di pietre e concotto di forma ovale  e da una buca da palo verosimilmente funzionale ad una copertura provvisoria. In assenza di reperti archeologici datanti, è ipotizzabile il suo impiego in età tardomedievale, forse in concomitanza con la defunzionalizzazione della chiesa stessa.

Mondragone

Direction
Francesca Sogliani (Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera), Luigi Crimaco (Direttore Museo Civico Archeologico Città di Mondragone)

Responsible of survey
Dimitris Roubis (IBAM CNR – Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera)

Responsibles of excavation campaigns and laboratory of artifacts  
Brunella Gargiulo, Valentino Vitale

Responsible of restoration laboratory

Marianna Musella

FastiOnline2009

FastiOnline2011

FastiOnline2013

FastiOnline2015

The fortified settlement of Rocca Montis Dragonis (Caserta) is located on the top of Monte Petrino, in the middle of an area adjoining to northwest the plain of Sessa that extends to the Liri-Garigliano, to east the slopes of Mount Massico, to south the fertile plain of the “Campania Felix”, crossed by the river Volturno and extended until the volcan Vesuvius and to west the sea. In autumn 1997 began a big archaeological investigation program on the site, started with an
intense phase of topographical analysis of the fortified settlement, supported by the study of literature and historical documentary sources relating to the Rocca. Since the year 2001, there were going on annual archaeological excavations, runned since 2005 by the Civic Archaeological Museum of Mondragone The fortified settlement, known on written sources in the early 12th century, is a big size hilltop site, characterized by a group of interior spaces and structures rather complex and hierarchically distributed in three different nuclei. 
All the buildings built on the rocky spur of the hilltop plateau of Mount Petrino, enclosed by a first curtain wall, bounded on the west by a massive semicircular tower, are overlooking the entire settlement. The whole area represents the original fortified settlement, keeping for a long time the dual role of defensive bulwark and refuge for civilians. The western part of the plateau is occupied by a large building, realized in a later phase in respect of the original plan of the plateau, which has changed the course of the first walls, emphasizing the role of hierarchical prominence of the top of the settlement. On the eastern side of the plateau, develops a first fortified village, with a pentagonal tower to the west; the village is characterized by a small religious building, some large buildings with multiple rooms and by a well-organized rainwater supply system, set up by a series of small tanks joined together. Finally, on the south side, develops a second village, with a lot of two, three and four rooms houses ranged along roads following the curves level. A third curtain wall protects the east and the west side of this village, thanks to two straight separated walls, oriented north-south. More defensive structures are located along the ridge down to the sea: a long and large “antemurale”, reinforced by two big towers, was to defend the northern side of the mountain, which is the entrance to the fortified settlement. The excavated areas in the first eight archaeological excavation campaigns (2001-2008) are included within the Architectural Complex "B" (hilltop plateau) and within the Architectural Complex "C" (first fortified village), were several buildings has been investigated. The geographical location of the fortified settlement has emphasized, from the first phase of use, recently dated to early middle age, the strategic role of territorial control and defense. Compared to evidences dated to Norman period, the Swabian one is more clear in respect of archaeological and documentary data; under Frederic the Second the Rocca was swallowed up between the Castra exempta. 

Later on, under the policy of castles, towns, counties and properties donations, committed by Charles I of Anjou on behalf of those who had supported the conquest of the Kingdom, in 1269 the fortress of Rocca Montis Dragonis, was awarded to Philip, King of Thessaly for its strategic military value, and throughout the Angevin kingdom, his possession returned to the policy of radical renewal of feudality, which included the appointment of France and Provence holders to the highest secular and ecclesiastical dignitaries. In the mid-fifteenth century, during the conflict between Angevins and Aragonese for the conquest of the kingdom, the Rocca, which was at that time one of the most important strongholds of the Duchy of Sessa, is besieged by the troops of King Ferdinand I of Aragon, and subsequently in 1461 was granted to the Carafa family.

In the current state of investigations, it is possible to recognize an important restoring phase that involved the buildings of the hilltop plateau during the 14th and 15th century, characterized by a radical reuse of architectural structures and by the new featuring of the fortifications, with the construction of a large building, known as the” residential palace”. Important finds are the potteries and the numismatic evidence, and the metal and vitreous artefacts discovered in the excavation areas; imported ceramic production, as enamelled polychrome vessels, gave evidences of significant economic exchanges between the fortified settlement and the sites of central Italy. All the buildings investigated up to now on the hilltop plateau and in the first village, were probably in use until the 16th century, when the collapse of the roofs obliterates them, being the cause of the desertion of the entire settlement.

 

 Mondragone - 2009

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